O notte, o dolce tempo, benché nero,
con pace ogn’ opra sempr’ al fin assalta;
ben vede e ben intende chi t’esalta,
e chi t’onor’ ha l’intelletto intero.
Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero;
ché l’umid’ ombra ogni quiet’ appalta,
e dall’infima parte alla più alta
in sogno spesso porti, ov’ire spero.
O ombra del morir, per cui si ferma
ogni miseria a l’alma, al cor nemica,
ultimo delli afflitti e buon rimedio;
tu rendi sana nostra carn’ inferma,
rasciughi i pianti e posi ogni fatica,
e furi a chi ben vive ogn’ira e tedio.
(Michelangelo Buonarroti, Sonetto 102)
All'artista più cara del giorno, la Notte prende la forma di una donna che con braccio e gamba contrapposti si rannicchia per concedersi al sonno. Le sono compagni una civetta e un mascherone. Con l'avvento del buio, la Notte porta con sé la fine di ogni pena, di ogni pianto e la stasi illusoria del trascorrere del tempo. Sovrani della Notte, i sogni giungono ad aprire la porta del futuro, a interrompere la corruzione del tempo, e a realizzare una dimensione di bellezza eterna.
Michelangelo Buonarroti (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564), La notte, 1526-31, Tomba di Giuliano de' Medici, duca di Nemours, Sacrestia Nuova della chiesa di San Lorenzo, Firenze.
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